Il termine “burnout” è stato introdotto negli anni ’70 dallo psicologo Herbert Freudenberger, per descrivere le conseguenze dell’eccessivo impegno lavorativo tra i professionisti del settore sanitario. Nel contesto contemporaneo con burnout non ci si riferisce solo all’ambito sanitario, ma ad una risposta allo stress protratto nel tempo in qualunque contesto lavorativo.
La sindrome da burnout è stata riconosciuta ufficialmente come una condizione medica dalla World Health Organization (WHO) nel 2019, per poi essere inclusa nella 11ª revisione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11) nel 2022. Negli ultimi decenni, la sua prevalenza è aumentata, spingendo la comunità scientifica e le organizzazioni a cercare strategie efficaci di prevenzione e intervento.
Si tratta di una sindrome multifattoriale: non esiste una singola causa, ma piuttosto una serie di fattori di rischio che possono portare al suo sviluppo, derivanti dall’interazione tra caratteristiche individuali e fattori organizzativi. È caratterizzata da una serie di sintomi che coinvolgono sia l’aspetto fisico che quello emotivo e comportamentale. Le persone possono sperimentare una costante sensazione di stanchezza oltre che, malesseri di svariato tipo come mal di testa, disturbi della digestione e disturbi del sonno (insonnia). Sul piano emotivo, il burnout si manifesta con sentimenti di irritabilità, frustrazione, tristezza o ansia; spesso viene descritto un senso di distacco e disinteresse dal lavoro e dagli altri. A livello comportamentale, si possono osservare segni di isolamento sociale, procrastinazione, oltre che, chiaramente, una diminuzione delle prestazioni lavorative.
Burnout: quali sono le cause?
Viene spontaneo pensare a quegli elementi, propri dei contesti lavorativi che costituiscono terreno fertile per l’insorgere di tale condizione. È bene tuttavia sottolineare che esistono anche fattori individuali che possono predisporre a tale stato. Innanzitutto la presenza di fatiche psicologiche pregresse di altro tipo; esistono poi elementi che interagiscono più direttamente con il contesto lavorativo, quali la tendenza ad assumere obiettivi lavorativi oltremodo complicati e poco realistici e il percepirsi come assolutamente indispensabili nella propria mansione. Un fattore di rischio può essere anche rappresentato dalla tendenza a sostituire la propria vita sociale o extralavorativa, con un sovra investimento sul tempo dedicato al lavoro. Anche quelle caratteristiche di personalità che rendono complessa l’interazione con i colleghi, come la tendenza ad essere eccessivamente autoritari o eccessivamente remissivi, possono essere annoverate tra i fattori di rischio.
I fattori predisponenti relativi al contesto lavorativo comprendono un eccessivo carico di lavoro, così come la sensazione di non poter mai prendere decisioni in autonomia, al punto da sperimentare il vissuto di essere totalmente in balia delle decisioni altrui. Fondamentali sono le caratteristiche dell’ambiente lavorativo, ad esempio quando sono presenti conflitti tra colleghi o dinamiche di ostracismo, oppure nella misura in cui non si vive il proprio lavoro come produttivo e riconosciuto, sia perché non si riceve sufficiente riconoscimento personale e/o economico, sia perché non si sentono opportunità di crescita personale e di espressione delle proprie abilità e competenze.
Il trattamento della sindrome da burnout si può quindi riferire a pratiche di prevenzione relative alle istituzioni, atte a lavorare con le aziende per limitare i fattori di rischio e migliorare le condizioni lavorative. D’altra parte è possibile per il lavoratore chiedere un supporto individuale basato sulle specifiche esigenze dell’individuo. La consulenza psicologica gioca un ruolo chiave nel fornire uno spazio per esplorare le cause sottostanti dello stress e sviluppare strategie di coping.
È sempre utile ricorrere alla psicoterapia per curare il burnout?
La psicoterapia è sicuramente utile per potenziare le proprie risorse e imparare a gestire lo stress lavoro correlato in maniera più efficace. Va tuttavia sottolineato che esistono contesti in cui la presenza di fattori predisponenti al burnout è soverchiante. In questi ultimi casi la terapia non è utile solo per attingere al meglio alle proprie risorse ma anche, e soprattutto, per riconoscere quali sono i limiti delle organizzazioni con cui ci si interfaccia, evitando così di imputare a se stessi responsabilità che non si hanno ed evitando di muovere a se stessi critiche che hanno poco senso alla luce dell’ambiente in cui si lavora.
Dott. Francesco Colombo