Quando si affronta un tema come quello della violenza e, nella fattispecie, della violenza nell’ambito delle relazioni intime, è sempre utile definire in primis di cosa si stia parlando, visto che non è insolito incontrare definizioni di violenza piuttosto soggettive, che spesso finiscono per circoscrivere questo fenomeno all’area della violenza fisica.
L’OMS propone un definizione specifica:
La violenza riguarda “Uso intenzionale di forza fisica o di potere, minacciato o agito, contro se stesso, un’altra persona, o contro un gruppo o una comunità, che ha come conseguenza o ha un’altra probabilità di avere come conseguenza il danno fisico, la morte, il danno psicologico, l’alterazione dello sviluppo, la deprivazione” (OMS 1996).
Negli ultimi anni la volontà di affrontare il problema della violenza all’interno delle relazioni ha determinato il nascere di centri che si occupano anche del trattamento degli autori dei comportamenti violenti. In tal senso una realtà pioniera è senz’altro quella del CAM (Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti) i cui operatori devono necessariamente porsi il problema di come poter agire sulla questione, spesso con utenti che non si recano presso il centro in maniera volontaria. Il modello del CAM si occupa delle forme di comportamento abusivo lavorando su alcune abilità che sovente nei comportamenti violenti risultano carenti, inibite, o assenti. Tali abilità si riferiscono sopratutto al rapporto che l’uomo stesso ha con il suo mondo emotivo, sulla sua capacità di gestirlo e averci a che fare; abilità per alcuni aspetti sovrapponibili all’intelligenza emotiva. Si parla quindi di quelle skills che consentono il riconoscimento delle proprie emozioni, la capacità di nominarle e di esprimerle nel modo corretto; la capacità di stabilire comunicazione con l’altro, anche cercando di comprenderne i vissuti; le abilità relative alla gestione dei problemi e al mettere in atto decisioni ponderate e adeguate alla situazione che si sta affrontando; la capacità di costruire soluzione creative e di sviluppare un pensiero critico rispetto alle proprie abitudini.
Perché spesso si parla di ciclo della violenza?
Gli autori di riferimento del CAM chiariscono come nelle situazioni in cui si instaura una dinamica violenta all’interno di una relazione, occorre evitare di considerare il comportamento violento come un episodio sporadico, ma occorre pensarlo all’interno di una sequenza processuale che vede il susseguirsi di fasi che si ripetono:
1 – Fase di formazione della tensione e isolamento. In questa fase si evidenzia il noto isolamento relazionale in cui la vittima viene progressivamente a trovarsi, smettendo di frequentare parenti e amici a causa delle ingiunzioni del partner.
2 – Fase di violenza psicologica. Il senso di impotenza esperito dalla vittima viene esacerbato dal clima di tensione generato dalle intimidazioni e dalle offese; la vittima evita di contrariare il partner nel timore di incorrere in violenza fisica.
3 – Fase di esplosione o aggressione. Si arriva all’escalation, ovvero all’agito violento al quale la vittima può rispondere con la fuga, il contrattacco o la sopportazione.
4 – Fase di riconciliazione. In seguito all’escalation violenta l’autore della violenza attraversa una fase di pentimento, spesso individuando nella violenza un episodio isolato e attribuendolo a cause esterne.
5 – Fase della luna di miele. In seguito alla riconciliazione l’autore si comporta in modo molto affettuoso e attento, determinando il crearsi di un’apparente armonia di coppia.
Tale prospettiva mette in evidenza come la psicoterapia o i gruppi psicoeducativi/terapeutici dedicati agli autori di violenza siano una parte fondamentale del contrasto al problema della violenza, ma che il territorio deve offrire un deciso supporto a coloro che si trovano in simili dinamiche, in quanto la loro natura ciclica ne rende decisamente più difficile l’identificazione per chi ne fa parte.
Dott. Francesco Colombo