In questo intervento cerchiamo di concentrarci sulle condizioni che possono favorire l’insorgenza degli attacchi di panico e di chiarirne meglio la natura.
Nel precedente articolo abbiamo detto che nell’attacco di panico uno degli aspetti più allarmanti è l’impossibilità di mettere in atto qualsiasi strategia per fronteggiarlo, proprio nella misura in cui appare indecifrabile, nell’origine e nelle manifestazioni, e assolutamente ingovernabile. Questa caratteristica fa dell’attacco di panico un’esperienza che non è paragonabile alle altre due condizioni alle quali viene spesso apparentato, ossia paura e ansia. Entrambe queste ultime hanno infatti un “oggetto”, ossia sono riconducibili ad un’origine chiara, che sia di natura interna od esterna. La paura è sempre paura di qualcosa (una minaccia, un animale, un’esperienza, un incontro…), così come l’ansia (che può essere legata ad un esame, una prova, una prestazione…).
L’attacco di panico no. Ha tutt’al più un fattore scatenante, che può essere individuato, nella maggior parte dei casi, solo dopo un attento lavoro sulle condizioni emotive che lo hanno scatenato. L’esperienza dell’attacco di panico è molto più vicina a quella dell’angoscia, per come la tradizione psicologica del Novecento ne ha trattato. Citiamo il filosofo Martin Heidegger, che dell’angoscia, in “Che cos’è la metafisica”, ha dato una definizione estremamente chiara. Spiega infatti: “Con il termine angoscia non intendiamo quell’ansietà assai frequente che, in fondo, fa parte di quel senso di paura che insorge fin troppo facilmente. L’angoscia è fondamentalmente diversa dalla paura. Noi abbiamo paura sempre di questo o quell’ente determinato, che in questo o in quel determinato riguardo ci minaccia: la paura di… è sempre anche la paura per qualcosa di determinato. L’angoscia non fa più insorgere un simile perturbamento . E’ attraversata piuttosto da una quiete singolare. Certo, l’angoscia è sempre angoscia di…, è sempre angoscia per…, ma non è per questo o per quello. Tuttavia, l’indeterminatezza di ciò di cui e per cui noi ci angosciamo non è un mero difetto di determinatezza, bensì l’essenziale impossibilità della determinatezza”.
Hiedegger ci sta cioè dicendo che l’angoscia, espressa nella sua forma più destabilizzante attraverso l’attacco di panico, ha un’altra natura rispetto a paura ed ansia. E’ per questo che, da un punto di vista clinico, viene affrontata in modo differente. Rispetto ai sintomi di ansia focalizzata su aspetti specifici (ad esempio la classica ansia da prestazione) spesso si lavora sull’autostima e sulla contestualizzazione dei fattori che danno ansia, in modo da ridurne l’effetto di imprevedibilità. Ma di fronte a una persona che soffre di attacchi di panico il primo aspetto del lavoro della psicoterapia non è tanto nel superamento dei propri limiti e delle proprie paure, quanto nel fare chiarezza.
E’ evidente, infatti, che ciò che l’attacco di panico rappresenta è la sensazione di una perdita di controllo assoluta, rispetto alla quale anche training autogeno, mindfulness, respirazione, modulazione del pensiero, strategie di distrazione di varia natura, e via dicendo, hanno scarsa efficacia. Si utilizzano, e producono benefici, soprattutto laddove si tratta di arginare tutte le limitazioni sussidiarie che un disturbo di questo tipo comporta. Però la parziale efficacia di queste strategie sta nel placare in parte ciò che si è già innescato per motivi ancora oscuri. Il punto fondamentale è mettere chiarezza in quell’oscurità.
Ecco quindi che in un lavoro psicoterapeutico finalizzato alla risoluzione degli attacchi di panico, dopo una stabilizzazione del sintomo e il contenimento di tutte le paure accessorie che comporta, si lavora su quei fattori che, nell’attualità della vita del paziente, hanno comportato la sensazione di una perdita di controllo e di sicurezza tale da innescare quel tipo di sintomo. Il punto focale è intervenire su come i temi di vita individuali intreccino fasi di vita emotivamente faticose.
Dott. Enrico Bassani