Circa un terzo degli individui nella maggior parte dei paesi industrializzati lamenta di avere cronicamente un sonno troppo breve e la percentuale di individui che segnalano questo disturbo è aumentata negli ultimi decenni. Altre condizioni piuttosto comuni, come ad esempio l’insonnia, le apnee notturne e il dolore cronico, possono causare una significativa interruzione del sonno nonostante un tempo normale dedicato a questa attività. Mentre le conseguenze neuro-comportamentali immediate della perdita di sonno a breve termine sono state ben descritte e sono considerate reversibili, si sa molto meno delle conseguenze sulle funzioni cerebrali del sonno breve e interrotto nel lungo termine.
Oggi sappiamo che la perdita del sonno può avere effetti profondi e duraturi: la neurogenesi diminuisce, i meccanismi di danno neuronale vengono attivati, le cellule della glia perdono la loro funzione e le proteine pericolose si accumulano nel cervello.
Gli studi epidemiologici di cui disponiamo suggeriscono che l’interruzione del sonno e il sonno breve cronico sono fattori di rischio per il morbo di Alzheimer e di altri disturbi neurodegenerativi.
Studi più recenti hanno evidenziato come la restrizione cronica del sonno per tre o quattro settimane provochi una riduzione del volume del tronco encefalico (struttura localizzata alla base del cervello che mette in continuità encefalo e il midollo spinale), della corteccia prefrontale (parte del cervello che si trova nel lobo frontale e che controlla funzioni cognitive e comportamentali, fondamentale per la personalità e il comportamento sociale) e all’ippocampo (struttura cerebrale che contribuisce alla memoria a breve e a lungo termine, alla memoria spaziale e all’orientamento). Nel complesso, questi risultati suggeriscono che vi è una significativa perdita di volume e una riduzione del numero di neuroni in più regioni cerebrali dopo la perdita del sonno e che questa perdita non si risolve facilmente con il sonno di recupero. Sono molti i possibili meccanismi imputati e tra questi sembra avere un ruolo decisivo la neurogenesi (nascita di nuovi neuroni, massima nei primi 20 anni di vita ma che non smette mai di accadere nel nostro cervello) che diminuisce in conseguenza all’interruzione del sonno. Per fortuna, con i nuovi studi arrivano anche dati confortanti ad esempio che la perdita irreversibile dei neuroni non si verifica prima delle 24 ore consecutive di carenza di sonno. Nell’aumento del rischio di malattie neurodegenerative dovuto alla deprivazione di sonno, però, non sono coinvolte solo le cellule neuronali vere e proprie ma anche le cellule della glia le quali hanno una funzione nutritiva e di sostegno per i neuroni, assicurano l’isolamento dei tessuti nervosi e la loro protezione. Con l’aumentare delle ore perse di sonno i danni a questo tipo di cellule divengono via via più evidenti e di conseguenza viene meno la loro funzione di sostegno vitale, nutrimento e protezione dei neuroni. Infine, con la perdita del sonno proteine tossiche per il cervello come la β-amiloide (implicata nell’insorgenza del Morbo di Alzheimer), α-sinucleina (coinvolta nell’insorgenza del Morbo di Parkinson) e la proteina tau si accumulano e si organizzano in depositi stabili.
Oggi, quindi, sappiamo che la perdita del sonno può avere effetti profondi e duraturi: la neurogenesi diminuisce, i meccanismi di danno neuronale vengono attivati, le cellule della glia perdono la loro funzione e le proteine pericolose si accumulano nel cervello.
Data l’importanza di un sonno di sufficiente durata, continuità e profondità, avere a disposizione un metodo efficace che ripristina la naturale capacità di dormire è fondamentale anche per prevenire, posticipare e rallentare l’insorgenza di eventuali malattie neurodegenerative.
In generale, quindi, sempre più studi scientifici mettono in relazione un buon sonno con una migliore salute del cervello e un minor rischio di sviluppare malattie neurodegenerative. Per contro, sappiamo anche che i farmaci più usati per trattare l’insonnia peggiorano la performance cognitiva durante la veglia, in particolare impattano sulle funzioni della memoria e della vigilanza, oltre ad essere gravati da effetti collaterali quali la dipendenza e la tolleranza. Per tutte queste ragioni (importanza di un buon sonno ed effetti collaterali dei farmaci ipnoinducenti), anche le più recenti linee guida internazionali sul trattamento dell’insonnia continuano a mettere in prima linea il ripristino di un sonno senza farmaci tramite la Terapia Cognitivo-Comportamentale per l’Insonnia (CBT-I) che va a ripristinare il meccanismo naturale del sonno già presente in noi da millenni. Questo approccio terapeutico erogato nel nostro centro ottiene la ristrutturazione del processo del sonno attraverso tecniche comportamentali altamente specifiche, rilassamento profondo e sincronizzazione dei ritmi circadiani. Più del 90% dei soggetti che si sono sottoposti alla CBT-I riporta un aumento dell’efficienza, della durata, della continuità e della qualità del sonno. Data quindi l’importanza di un sonno di sufficiente quantità e qualità, avere a disposizione un metodo efficace che ripristina la naturale capacità di dormire è fondamentale anche per prevenire, posticipare e rallentare l’insorgenza di eventuali malattie neurodegenerative.
Dr.ssa Roberta Salvato