La conclusione di un percorso di psicoterapia è un momento significativo e la domanda che fa da titolo a questo articolo compare nelle menti dei pazienti in diversi momenti del percorso; a volte anche prima che questo inizi.
Come facile immaginare non esiste una risposta universale, poiché ogni processo terapeutico è unico e dipende da molteplici fattori, motivo per il quale anche percorsi tenuti dallo stesso terapeuta possono avere durate molto differenti, anche per fattori che prescindono dalla gravità del quadro clinico.
A proposito di quadro clinico, possiamo senz’altro dire che quando una terapia si costruisce attorno ad obiettivi chiari e legati alla ricerca di una remissione sintomatica, risulta piuttosto intuitivo dire che il percorso si chiude quando tali obiettivi sono raggiunti e i sintomi sono scomparsi o ragionevolmente migliorati.
Quando la sintomatologia risulta essere meno specifica possiamo dire che si può pensare ad una chiusura quando si constata la capacità del paziente di affrontare in autonomia le difficoltà che un tempo sembravano insormontabili. Questo include una maggiore consapevolezza di sé, strategie di gestione emotiva più efficaci e un senso di stabilità interiore.
In questi casi, il paziente può sentirsi pronto a proseguire il proprio cammino senza il supporto regolare della terapia, anche se la chiusura può risultare un momento difficile, e per questo spesso consiste in un processo graduale. Sovente viene pianificata con incontri sempre più distanziati nel tempo, permettendo al paziente di verificare la propria capacità di gestire le situazioni in autonomia.
Ci sono poi casi, tutt’altro che rari, in cui le persone che iniziano una terapia non lo fanno lamentando sintomi specifici, e non sono interessati da un iter diagnostico. Inoltre, non è raro che anche chi ha intrapreso una psicoterapia per lenire un quadro sintomatologico, decida di proseguire il proprio percorso anche dopo la remissione dei sintomi. È importate quindi ricordare come i percorsi psicologici spesso si costruiscano sulla base di inquietudini e domande esistenziali, o addirittura alimentati dalla curiosità verso di sé.
In particolare in questi ultimi casi la chiusura del percorso non coincide necessariamente con la risoluzione di tali domande, ma ha più a che fare con la capacità del paziente di abbracciarle, accogliendo l’incertezza e la complessità che esse comportano, oppure con il riconoscere che il percorso ha prodotto un cambiamento significativo, anche se non necessariamente misurabile in termini clinici.
Dr. Francesco Colombo