Qual è la psicoterapia più efficace?

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In uno degli scorsi interventi (“Siamo sicuri che la psicoterapia è efficace?”) ci siamo lasciati con la certezza che la psicoterapia è il miglior strumento a nostra disposizione per produrre un maggior grado di benessere psicologico per i pazienti. Tutte le ricerche empiriche condotte negli ultimi trent’anni confermano questo dato. Ora si apre però un altro tema altrettanto interessante e spinoso: quale degli infiniti tipi di psicoterapia è più efficace? E sulla base di che cosa è opportuno scegliere?

IL FATTORE PSICOTERAPEUTICO PIU’ POTENTE ED EFFICACE E’ LA RELAZIONE. NON E’ IMPORTANTE SOLO DEFINIRE UN TIPO DI PSICOTERAPIA, MA CONSIDERARE “COME” VIENE FATTA. 

Per rispondere a questa domanda facciamo ancora una volta riferimento al volume “La competenza a curare. Il contributo della ricerca empirica”, edito nel 2016 per i tipi di Mimesis, dello psichiatra e psicoterapeuta Emilio Fava e del Gruppo Zoe

Un paradosso noto in psicoterapia già dal secolo scorso è la constatazione del fatto che la possibilità di successo clinico di un percorso terapeutico prescinde dall’orientamento teorico del terapeuta che ne è artefice (insieme al suo paziente). È ciò che nella letteratura psicologica viene comunemente definito il “Verdetto di dodo”, termine utilizzato nel 1936 dallo psicologo statunitense Saul Rosenzweig (1907 – 2004) per indicare l’evidenza secondo cui tutti i tipi di psicoterapia hanno approssimativamente la stessa probabilità di successo

Significa semplicemente dire che tutte le tradizioni psicologiche, sotto il profilo dell’efficacia (e quindi, indirettamente, della legittimità teoretica e della “verità” di ciò che esprimono), si equivalgono. Nelle loro irresolubili, inconciliabili, irriducibili, abissali – e spesso conflittuali – differenze sono identiche: producono gli stessi effetti.

Ma che cosa significa? Evidentemente qualcosa di fondamentale, che non riguarda le singole “scuole di pensiero” psicoterapeutiche ci sfugge. Proviamo a sintetizzarlo in questo modo: l’efficacia dell’intervento del terapeuta sui singoli pazienti sembra essere legata a qualcosa che non riguarda la specificità del tipo di intervento (con tutto l’apparato tecnico e teorico di cui si compone), ma che ha a che fare con un elemento preliminare, trans-disciplinare e, in qualche misura, comune. In caso contrario non si spiegherebbe il paradosso per cui, in termini di efficacia, i diversi tipi di psicoterapia sono tra loro equivalenti.

Che cos’è, dunque, questo potentissimo fattore sottotraccia responsabile dell’esito di una psicoterapia? 

Facendoci carico del percorso di sintesi compiuto da Fava di tutte le ricerche sull’efficacia clinica, lo possiamo sintetizzare in questi termini: il fattore psicoterapeutico di gran lunga più potente ed efficace è la relazione

“L’impressione generale – scrive Fava –  è che gli studi mostrino l’importanza di un atteggiamento di attento ascolto orientato al permettere l’espressione più vera di ciò che il paziente prova, piuttosto che interventi intesi a “spiegare” il significato dei comportamenti, dei sogni e delle fantasie” (p. 168).

Ascoltare ed osservare, dunque, cercando di creare le condizioni per un’apertura relazionale, la più ampia possibile, utilizzando una postura autenticamente accogliente, sia negli aspetti espliciti che in quelli impliciti: ciò che si dice e il modo in cui lo si dice. 

Tutto ciò che crea distanza relazionale tra paziente e terapeuta – potremmo sintetizzare – è, al contrario, un potente fattore di inefficacia terapeutica: il giudizio, la mancanza di ascolto e di condivisione empatica, la squalifica, la disattenzione e l’assenza di cura. Ma anche l’indicazione esplicita di ciò che il paziente dovrebbe fare o di come dovrebbe comportarsi secondo la prospettiva del terapeuta; così come, su un altro versante, il dogmatismo disciplinare, la rigidità e inflessibilità rispetto a ciò che prevede la teoria, il protocollo, la tecnica.

Nella relazione terapeutica, affinché si verifichi un cambiamento che possa produrre effetti nella vita di un paziente, è dunque necessario, oltre che scontato, che entrino in gioco tutte quelle componenti che rendono faticosa e dolorosa la vita di un individuo. Quindi emozioni, tematiche di vita, fragilità e sensibilità, modulazioni della distanza, meccanismi di difesa, pensieri, comportamenti. Insomma, tutto l’universo più intimo e profondo che il modo d’essere di una persona custodisce ed esprime.

Se questa apertura si verifica, grazie all’accogliente solidità del terapeuta, il cambiamento sarà possibile. E si verificherà a prescindere dal tipo di psicoterapia in campo. Come scrive Fava: “Non è importante solo definire un tipo di psicoterapia, ma considerare “come” viene fatta”.

Dott. Enrico Bassani

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