La schizofrenia: di cosa si tratta?

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Nell’immaginario comune il termine schizofrenia è probabilmente quello che, tra le patologie mentali, evoca il maggior timore e la maggiore percezione di “gravità”. Anche tra i non addetti ai lavori è ben nota la decisa alterazione dei tipici equilibri psichici e dell’ordinario esame di realtà che questa psicosi comporta.

In qualche modo la schizofrenia rimanda a quella che è l’idea comune del “folle”, sicuramente per via dei sintomi più impressi nell’immaginario collettivo: il sentire voci, l’avere allucinazioni, fare esperienza di pensieri fortemente paranoidi; tutti quei sintomi noti come sintomi produttivi.

Attorno alla schizofrenia esiste sin dalle sue prime definizione un intenso dibattito nel mondo scientifico relativo al cosa sia questa patologia, come si definisca,  come si curi e, soprattutto, al perché compare.  In tale senso si opera una distinzione tra cause genetiche e cause ambientali, dove le seconde sono quelle ascrivibili al contesto e all’ambiente in cui il paziente schizofrenico vive ed è cresciuto.

Negli anni ‘50 è nata una delle teorie che per molti rappresenta uno dei più interessanti tentativi di dare una spiegazione non genetica all’origine della schizofrenia: la teoria del doppio legame, teorizzata dall’antropologo Gregory Bateson con la collaborazione dei colleghi della Scuola di Palo Alto.

Con il termine doppio legame ci si riferisce ad una situazione di ambiguità comunicativa, in cui si ricevono, entro lo stesso scambio comunicativo, informazioni contrastanti tra loro.

L’esempio proposto dallo stesso Bateson è quello di una madre che va a trovare il figlio in ospedale. Quest’ultimo abbraccia la madre con spontaneità ma ella, intimorita, si irrigidisce. Quando allora il figlio si ritrae, la madre lo redarguisce e lo incoraggia ad esprimere il suo affetto: “Non devi avere paura dei tuoi sentimenti”, oppure: “Sii spontaneo!”. In questo caso il linguaggio non verbale della madre (l’irrigidirsi) e quello verbale (l’incoraggiare) sono nettamente in contrasto tra di loro. Il figlio si trova in un doppio legame, perché qualunque cosa egli faccia verrà rimproverato, verbalmente o non verbalmente. Non esiste una via d’uscita.

Secondo Gregory Bateson e colleghi nei contesti in cui ci sono persone con diagnosi di schizofrenia si assiste sovente alla costante esposizione a modalità comunicative simili, che portano infine il soggetto a considerare qualunque interazione come portatrice di doppi fini e ambiguità.

Ovviamente non è sufficiente un singolo episodio per cagionare schizofrenia, ma occorre un’esposizione cronica a simili dinamiche e la relazione tra i due comunicanti deve essere salda e intensa, come quelle tra membri della stessa famiglia.

Quindi il doppio legame è la vera causa ambientale della schizofrenia?

La risposta è “no”, o meglio: il doppio legame da solo non è considerato come una causa lineare di schizofrenia. Sia la letteratura contemporanea, sia gli autori della teoria del doppio legame sostengono che non esiste una sola causa ambientale della schizofrenia e/o una causa genetica: esiste una multifattorialità di elementi che possono essere legati all’insorgere delle psicosi.

Ciò che è stato osservato da Bateson e colleghi è che, in famiglie con pazienti schizofrenici, il doppio legame è la modalità prevalente con cui avvengono le comunicazioni. Quello su cui questa teoria pone l’accento è quindi l’enorme potere che le modalità comunicative che apprendiamo esercitano sulla psiche, e il fatto che le relazioni si basano soprattutto sulle modalità e i registri comunicativi che intercorrono tra gli individui.

Dott. Francesco Colombo

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