Alcolisti Anonimi: riflessioni sul percorso di guarigione

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Alcolisti Anonimi è un’associazione la cui esistenza è nota anche ai non addetti ai lavori, forse in virtù della riproposizione in diversi contesti cinematografici delle caratteristiche riunioni tra partecipanti, con il tipico setting del cerchio di sedie.

La storia

La storia di Alcolisti Anonomi, o AA, comincia nel 1935, quando Bill Wilson e Bob Smith, condividendo l’esperienza della lotta contro la dipendenza, fondarono l’organizzazione. Il loro desiderio comune era quello di creare un ambiente in cui gli individui potessero condividere apertamente le proprie esperienze senza timore di giudizio e, soprattutto, quello di mantenere la già ottenuta astinenza.

I Dodici Passi

Il cuore del trattamento proposto da AA è rappresentato dai Dodici Passi, una struttura che guida i partecipanti attraverso un processo di auto-riflessione e ammissione di fallimenti passati.

Le riunioni di AA e lo scambio tra i partecipanti costituiscono l’elemento fondante del processo terapeutico e, come detto, si svolgono nella forma di cerchi di partecipanti, in cui l’anonimato, se richiesto, è sempre garantito. Le testimonianze dei partecipanti che sono riusciti ad ottenere dei risultati mettono l’accento sul grande senso di appartenenza e protezione generato del gruppo, ai quali spesso si riconduce la sua efficacia.

Il programma non è tuttavia esente da critiche, in parte nel merito delle evidenze scientifiche riguardanti la metodologia, ma soprattutto in virtù del impronta fortemente religiosa relativa alla configurazione originale dei 12 passi e della messa in campo di un aspetto fortemente spirituale:

  1. Abbiamo ammesso di essere impotenti nei confronti dell’alcol e che le nostre vite erano diventate incontrollabili.
  2. Siamo giunti a credere che un potere più grande di noi avrebbe potuto riportarci alla ragione.
  3. Abbiamo preso la decisione di affidare la nostra volontà e le nostre vite alla cura di Dio, come noi potemmo concepirlo.
  4. Abbiamo fatto un inventario morale profondo e senza paura di noi stessi.
  5. Abbiamo ammesso a Dio, a noi stessi e ad un altro essere umano l’esatta natura dei nostri torti.
  6. Eravamo completamente pronti ad accettare che Dio rimuovesse tutti questi nostri difetti di carattere.
  7. Gli abbiamo chiesto umilmente di eliminare le nostre mancanze.
  8. Abbiamo fatto un elenco di tutte le persone che avevamo danneggiato e siamo diventati disposti a rimediare a tutte loro.
  9. Abbiamo fatto ammenda verso tali persone ovunque possibile, tranne quando, così facendo, avremmo danneggiato loro oppure altri.
  10. Abbiamo continuato a fare un inventario personale e, quando ci siamo trovati in torto, lo abbiamo subito ammesso.
  11. Abbiamo cercato, attraverso la preghiera e la meditazione, di migliorare il nostro contatto cosciente con Dio, come noi potemmo concepirlo, pregando solo per la conoscenza della sua volontà nei nostri riguardi e per la forza di realizzarla.
  12. Avendo avuto un risveglio spirituale come risultato di questi passi, abbiamo cercato di portare questo messaggio ad altri alcolisti e di mettere in pratica questi principi in tutti i campi della nostra vita.

Per quanto AA non abbia vincoli di accesso per l’ingresso, e non escluda dalla partecipazione utenti che non hanno nulla a che fare con la religione e la fede, l’aspetto spirituale si mostra preponderante. Ciò che appare interessante è infatti il chiedersi se esista un legame tra questo aspetto e i risultati ottenuti da AA, o se le valenze terapeutica derivino in toto dal dialogo di gruppo, dalla condivisione e dall’accettazione.

Il rullo della volontà nell’ambito delle dipendenze

Gregory Bateson, antropologo, fornisce una possibile lettura riflettendo sul ruolo che la volontà e la disciplina hanno nell’ambito delle dipendenze. Egli fa notare che il rimettersi ad un potere superiore e, sopratutto, il dire a se stessi di essere impotenti, inermi, di fronte alla dipendenza, tolga i partecipanti di AA da quella sfida con se stessi e da quella dinamica di controllo e potere che, secondo alcuni autori, contribuisce a mantenere il ciclo della dipendenza. Non è raro, infatti, incontrare alcolisti che sono stati in grado di interrompere, più volte nel corso della vita, il loro rapporto con la bottiglia, salvo poi ricominciare, perpetrando una continua sfida alla propria volontà. Appare curioso, invece, il fatto che che spesso i membri di AA, anche se astinenti da decine d’anni, continuino a definirsi alcolisti.

L’atto stesso di negarsi la possibilità di essere totalmente indipendente dalla sostanza, toglie l’alcolista dalla “sfida con la bottiglia”, rendendo questa gara già persa in partenza e consentendo paradossalmente, in alcuni casi, di mantenere l’astinenza per anni.

Ciò non implica affatto che l’impegno individuale non abbia un ruolo imprescindibile rispetto all’interruzione dell’abuso alcolico; la riflessione di Bateson è utile soprattutto nelle fasi successive all’iniziale astinenza, fasi in cui si vuole recuperare un rapporto ordinario con l’alcol, verificando di poterne fare un consumo moderato. L’unico modo, tuttavia, per mostrare a se stessi di essere completamente indipendenti dall’alcol è il riavvicinarsi pericolosamente all’abuso della sostanza stessa, innescando un meccanismo in cui il verificare di essere “guariti” porta a continui cicli di astinenza e ricadute.

Dott. Francesco Colombo

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