L’anoressia è un disturbo complesso del comportamento alimentare che si manifesta con una restrizione volontaria dell’assunzione di cibo, portando a quella significativa ed evidente perdita di peso che noi tutti tendenzialmente associamo a questa diagnosi.
Oggi sappiamo che ogni disturbo del comportamento alimentare è complesso e multifattoriale, Ma non è insolito che essi diventino oggetto di banalizzazioni. Basti pensare, ad esempio, a quando l’obesità viene imputata alla pigrizia, o a quando l’anoressia viene imputata all’emulazione di ideali estetici di magrezza. Sopratutto negli anni ‘90, quando i canoni estetici dell’alta moda si riferivano a corpi femminili estremamente sottopeso, non era insolito imbattersi nell’opinione per cui la causa dell’anoressia fosse da ricercarsi soprattutto nel desiderio che il proprio corpo somigliasse a quelli presenti sulle passerelle. Tuttavia, una crescente evidenza scientifica indica che tale spiegazione è riduttiva e non sufficiente a spiegare l’insorgenza e la persistenza della malattia. La pressione sociale verso la magrezza agisce, al massimo, come fattore scatenante in soggetti già vulnerabili dal punto di vista psicologico, genetico o neurobiologico. Studi clinici dimostrano che molti pazienti sviluppano il disturbo per motivi legati al controllo, al perfezionismo o all’ansia, più che al desiderio estetico.
Possiamo fare uno dei tanti esempi possibili, di una lettura che si pone su un livello completamente diverso di quello dell’emulazione.
Valeria Ugazio, seguendo un approccio che mette l’accento sulle relazioni familiari e sui significati presenti nelle famiglie, osserva che l’anoressia emerge spesso in famiglie dove la conversazione è centrata sul potere e sul successo. In questi contesti, il rifiuto del cibo può rappresentare una forma di controllo e una risposta alle aspettative familiari. L’anoressia diventa, così, un modo per affermare la propria autonomia e identità in un ambiente percepito come oppressivo o competitivo.
La teoria in oggetto suggerisce che i disturbi alimentari non siano semplicemente il risultato di influenze culturali o mediatiche, ma che siano profondamente radicati nelle dinamiche relazionali e comunicative della famiglia.
Questo non significa che l’unico livello di lettura da assumere quando si osserva una restrizione alimentare, sia quello sopra proposto, ma questo esempio è utile a farci comprendere come, in psichiatria, è spesso fuorviante l’aspettarsi che una sola causa, e un solo tipo di lettura, possano esaurire il discorso sull’insorgenza del disturbo.
Nel caso dell’anoressia, attribuire all’estetica il ruolo centrale rischia di banalizzare una patologia grave e complessa: possiamo dire che gli ideali di magrezza sono un contesto, non una causa. L’intervento terapeutico deve quindi concentrarsi su aspetti profondi e non solo sull’influenza culturale.
Dr. Francesco Colombo